30 nov 2015

RUSSIA ARTICA - parte seconda

DIARIO DI VIAGGIO NELLA RUSSIA ARTICA

Il fiume Mezen e i suoi villaggi.


Giovedì 13 marzo – dopo Voshkiy/Siol'yb – km 140
La pista ha un fondo ghiacciato ricoperto da un sottile strato di neve scivolosa. Giovanni viaggia su pneumatici BFGoodrich un po’ vecchi e induriti, per cui rischiamo più volte il testacoda.  Procediamo perciò abbastanza lentamente verso Usogorsk, che raggiungiamo quasi a mezzogiorno. Sostiamo nella cittadina intrattenendoci con i locali incuriositi. Chissà perché, un tizio ci regala un’intera confezione di razioni K militari. Facciamo scorta d’acqua in botticelle da 5 litri a una bottega, dove intanto compriamo le specialità del luogo, scelte a caso.
E finalmente raggiungiamo il grande fiume Mezen.

 Questo fiume, certamente sconosciuto agli italiani, è lungo ben 966 km ed il suo letto raggiunge i 2 km di larghezza. Nasce nella Repubblica di Komi e con un corso tortuoso che volge prima a sud e poi a nord, sfocia nel Mar Bianco appena dopo la cittadina che porta il suo stesso nome. Il Mezen ha rappresentato per secoli l'unica via di comunicazione tra questa regione artica ed il resto del Paese, perché d'estate è navigabile, mentre d'inverno è percorribile con ogni tipo di veicolo, dato che congela verso metà Novembre e rimane ghiacciato fino a fine Aprile.
Lungo questa arteria fluviale è stanziata la popolazione dei Pomory, una minoranza etnica che ha fondato numerosi villaggi, la cui architettura lignea, rimasta intatta nei secoli, rappresenta un importante patrimonio culturale.  L’inizio promette bene: la strada costeggia il fiume e subito incontriamo il primo tipico villaggio con belle case costruite con grossi tronchi incrociati.
Poco dopo troviamo una deviazione per un secondo villaggio, che però sta al di là del fiume.  Per arrivarci facciamo il nostro primo attraversamento sul ghiaccio, con un po’ di emozione.





Una bella ciambella di salvataggio sta a ricordarci che sotto di noi c'è il fiume, non il terreno!
Il villaggio è parecchio esteso, ma gli unici esseri viventi che vediamo sono le solite "babushke" (letteralmente "nonnine", ma per traslato tutte le donne di una certa età) che camminano in mezzo alla neve con la borsa della spesa.
Proseguiamo oltre il villaggio sperando che la strada continui fino al prossimo guado di ghiaccio, ma la troviamo innevata e impassabile.  Il luogo è adatto per la sosta serale e Danilo viene incaricato di spianare l'area andando avanti e indietro col Def.
Visti gli scivoloni odierni, gli uomini decidono che è arrivato il tempo di chiodare gli pneumatici. Non è per niente uno scherzo.
Gli uomini lavorano alacremente, ma ci vogliono comunque un paio di ore. Giovanni ed io, i vecchietti, alla fine veniamo aiutati dagli amici. Dopo cena, due chiacchiere al fresco. Bella serata.
Venerdì 14 marzo – Siol’yb/prima di Koynas – km 175
Per la prima volta in questo viaggio abbiamo sperimentato il vero gelo notturno: quando siamo andati a letto faceva già -20°, perciò abbiamo messo in azione il nostro scaldasonno a 12V, che ha funzionato a dovere: senza scaldare eccessivamente, ha donato il giusto tepore alle nostre schiene. Stamattina l’acqua del serbatoio funzionava ancora, ma lo scarico del lavandino si è otturato di ghiaccio.  Ghiacciati anche i finestrini e tutte le parti in metallo della Land che non abbiamo coperto o coibentato.  Gli amici hanno fatto buon uso dei loro riscaldatori nelle tende, ma anche i loro rubinetti dell'acqua si sono ghiacciati. Lasciamo il campo piuttosto tardi e riattraversiamo il fiume per raggiungerne la sponda destra.Passiamo alcuni paesini: Ciernutienko, Melentievo, Latrakovo, tutti incantevoli sia per gli edifici che per la posizione panoramica.
A Balsciaia Pyssa facciamo un altro attraversamento sul ghiaccio.  Il fiume è affollato di pescatori attrezzati di trivella per forare il ghiaccio e buttare le lenze. Hanno montato piccole tende per ripararsi da bufere improvvise. Le prede però sono piccole e scarse.
La strada che stiamo seguendo oggi è spettacolare, di un bianco immacolato, e attraversa foreste di abeti altissimi, se pur sottili, perché siamo ormai a latitudini nordiche, avendo superato i 64°.  Il tempo ci ha regalato qualche sprazzo di sole in mattinata, che ci siamo goduti durante la sosta di mezzogiorno.  Nel pomeriggio invece il cielo ha volto su un colore grigio plumbeo.  Questa atmosfera, unita alla totale mancanza di traffico, è servita a sottolineare la sensazione di vastità e di solitudine di queste lande.
La poca gente che abbiamo incontrato, un paio addirittura su carretti tirati da un cavallo, è parsa stranita al nostro passaggio. Da quando abbiamo lasciato San Pietroburgo non abbiamo visto neanche l’ombra di un turista.
Avremmo voluto seguire da vicino il corso del fiume Mezen, per avvicinarci alla nostra meta serale, che era Koynas, ma un cartello stradale ci ha obbligati a deviare su una strada che si è allontanata di molto dal fiume, facendo una enorme aggiramento a sud, prima di riprendere la direzione giusta. Misteri delle strade invernali russe.  Anche stasera ci siamo aperti uno spiazzo pressando la neve vergine con le auto e spalando.  Almeno questo hanno fatto gli uomini, mentre io rimanevo al calduccio in macchina con la scusa del diarietto serale. Dopo cena ha cominciato a fioccare a larghe falde, il che ha messo di buon umore tutta la compagnia

Sabato 15 marzo - prima di Koynas/dopo Leshukonskoye -  km 195
Stamattina nevica e siamo di qualche grado sotto lo zero. Rimarrà così tutto il giorno, alternando un lieve nevischio a una neve a larghe falde.  La strada è immacolata e la neve fresca caduta nella notte, senza che alcuna macchina sia passata, ha ricoperto tutte le imperfezioni, creando uno strato soffice come bambagia, che le macchine sollevano come il fech-fech africano.
Dalla strada principale facciamo una deviazione verso il villaggio di Kyssa, al di là del fiume, nella speranza di poter proseguire lungo la sponda destra del fiume, dove ci sono più villaggi. L’attraversamento sul ghiaccio è sempre emozionante, però ci stiamo già abituando, quasi che fosse una cosa normale passare da una sponda all’altra su un lastrone di ghiaccio!  Arrivati a Kyssa, una “babushka” che ci aveva appena preceduti su una “pagnotta” (l’Uaz furgone universalmente diffuso nella Russia profonda), quasi ci aggredisce con un fiume di parole.  Poi comprendiamo che non è arrabbiata con noi, bensì è infervorata nella spiegazione del percorso che dobbiamo seguire per arrivare alla nostra meta.
Passiamo numerosi villaggi, tutti affacciati sulla riva del fiume. Questi insediamenti dovevano essere bellissimi fino ad una ventina di anni fa.  Le case sono grandi, solidamente costruite con enormi tronci incrociati.  A fianco delle case vi sono piccoli fienili o legnaie, altrettanto ben costruiti.  Purtroppo adesso gran parte di queste case sono abbandonate e cadono in rovina. Basta vedere su Internet il numero di abitanti attuali e confrontarli con quelli dell’epoca sovietica per capire l’entità del disastro: venendo a mancare il sistema dei kolhkos, gli abitanti si sono trovati senza risorse ed i giovani hanno abbandonato i villaggi in cerca di sopravvivenza nelle città.

L’entità della popolazione di un tempo si percepisce ora dai cimiteri dei villaggi, che sono estesissimi.
La gente che incontriamo è decisamente stranita nel vederci. Qualcuno non sa dove sia l’Italia, altri sorridono e dicono “Adriano Celentano”!  Gli uomini che incontriamo sembrano in cattivo stato, piuttosto malvestiti, spesso ubriachi e tutti con i denti in disordine.  Le donne e i bambini, al contrario, sono sempre dignitosi e persino eleganti anche in questi sperduti luoghi.




Dopo Koynas la strada si fa ancora più bella, a volte costeggiando il fiume da vicino, altre volte allontanandosi per inoltrarsi in foreste fittissime. Se il panorama è attraente con il maltempo, come lo vediamo noi, immaginiamoci quanto deve essere bello con il sole ed il cielo limpido. Anche oggi traffico nullo: solo qualche macchina in prossimità dei luoghi abitati.  Nel tardo pomeriggio facciamo un’altra traversata sul fiume ghiacciato per arrivare a Leshukonskoye, una cittadina di 4.400 abitanti che sopravvive chissà come in mezzo al nulla.  E’ dotata di aeroporto e vediamo anche qualche ciminiera.  Come sempre in Russia, dove c’è un luogo di lavoro c’è bruttura. Perciò ci limitiamo a fare carburante in una sgangherata stazione di servizio, peraltro aiutati da una gentile cassiera,
e ce ne ritorniamo dall’altra parte del fiume. Il passaggio questa volta ci mette un po' di inquietudine, perché alcune pozze d'acqua segnalano un cedimento del ghiaccio.
A sera, solito campo nel bosco. Ma stavolta la neve è altissima e gli uomini devono spalare una quantità impressionante di neve dura per far spazio tra gli alberi a tre auto e una tenda.


Domenica 16 Marzo – dopo Leshukonskoye/Mezen –km 150
Stanotte la temperatura dev’essere scesa parecchio, dato che alle 8 del mattino c’erano ancora -13°. L'acqua dei serbatoi è ghiacciata perciò il thé stamane si fa con la neve.
Ci immettiamo sulla strada principale, che è molto scorrevole, anche se il fondo ghiacciato può presentare qualche insidia.  L’obiettivo “turistico” di questa mattinata sono due villaggi di cui abbiamo letto nei resoconti dei fuoristradisti russi.  Il primo si chiama Pogorelez, che significa “bruciato”, forse perché in tempi antichi andò distrutto dal fuoco.  Il villaggetto come sempre appare assolutamente spopolato, ma basta qualche minuto di attesa ed ecco spuntare qualche uomo; e poi qualche bambino; e poi gli immancabili cagnolini semi-lupi o semi-husky.
C’è una bella chiesetta, ma soprattutto ci sono due mulini a vento che hanno secoli di vita e hanno resistito al tempo e alle intemperie grazie alla loro struttura di grossi tronchi incrociati
Il secondo villaggio è oltre il fiume Mezen, che in questo punto è largo più di un km.  La strada di ghiaccio presenta già in alcuni punti qualche sezione acquosa che potrebbe essere preoccupante. Tuttavia sappiamo che questi passaggi sono gestiti dalle autorità statali che ne regolano l’accessibilità con cartelli indicanti la portata e quando necessario ne vietano l’accesso. Questo secondo villaggio si chiama Kimzha ed è citato da fonti russe come uno degli esempi più puri dell’architettura lignea del Nord Russo, un vero e proprio museo all’aperto. Purtroppo rimaniamo dispiaciuti nel vedere tante, troppe antiche case che stanno cadendo in rovina. Kimzha aveva una chiesa di legno estremamente elaborata, un vero gioiello, che però dagli anni 2000 ha cominciato a crollare.  Si è pensato di smontarla completamente per restaurarla, solo che i soldi sono presto finiti ed il rifacimento si è bloccato al primo stadio. Un cartello sull’impalcatura informa che i lavori sono ripresi. Speriamo che il capolavoro risorga presto.
Kimzha ha anch’essa un paio di antichi mulini a vento, di cui uno conserva ancora le pale.
Arriviamo infine alla città di Mezen, sotto il cui cartello facciamo le foto di rito.
Il nostro obiettivo principale è raggiunto!  La cittadina si presenta sorprendentemente ordinata, con case graziose e ben tenute.  Niente affatto decadente come ce l’aspettavamo. Hanno persino un enorme cartellone "turistico" che copre l'intero fianco della prima casa del paese.
Adesso noi dobbiamo cercare l'unico albergo esistente, ma fatichiamo a trovarlo perché non ha insegna.
L’aspetto è quello tipico delle strutture sovietiche.  Ingresso sgangherato, pavimenti divelti e lunghissimi corridoi che portano chissà dove. Solo grazie ad una signora che parla tedesco riusciamo ad arrivare alla reception, che sta al primo piano. L’albergatrice pare imbarazzata e quasi spaventata nel vederci e dopo capiremo il perché: all’arrivo degli stranieri deve chiamare la polizia per il disbrigo delle pratiche burocratiche. Infatti in pochi minuti arriva il doganiere, per fortuna avevamo i doverosi permessi, e lui, l’albergatrice e la giovane figlia accorsa in aiuto devono riempire un mare di scartoffie, usando a mo’ di scrivania una vecchia asse da stiro, prima di ridarci i passaporti.  Ancora non abbiamo capito come mai Mezen sia considerata città di confine, il cui accesso è subordinato a un permesso speciale.  Le stanze dell’albergo sono pulite, e pure la doccia.  Ma lo stato di manutenzione è totalmente decadente, con pavimenti di linoleum scollati, tubi scrostati, sanitari improponibili.  Evidentemente la struttura non è privata, ma statale e questo è quel che passa il convento.

Danilo chiede se c’è in città un “ristorante tipico”, e la risposta è che non c’è nessun ristorante. Neanche una caffetteria. Eppure siamo in una città di quasi 4.000 abitanti! Prendiamo le nostre vettovaglie dalle macchine, allestiamo la cucina e la tavolata in una delle camere e passiamo ugualmente un’allegra serata.

Lunedì 17 Marzo – Mezen/dopo Sovpole – km 170
La camera si è rivelata abbastanza confortevole, se si esclude lo scricchiolio di pannocchie del letto di Giovanni.  Visitiamo con calma la cittadina, percorrendo la via principale che è lunghissima,  fino all’aeroporto, dove la strada si interrompe.  Cerchiamo di fare gasolio, ma la stazione di servizio ne è priva. Il gestore ci suggerisce di rifornirci presso un'industria privata, in posizione difficile da comprendere e perciò un gentile signore ci precede in macchina per farcela trovare.  Mezen non è affatto un luogo di disperati, come temevamo.  La gente è dignitosa, le case sono graziose anche nell’estrema periferia, l’aspetto della gente è rilassato ed tranquillo. I bimbi della scuola sono tutti ben vestiti.
Non so di che cosa vivano, ma vivono, non “sopravvivono”. C’è persino un museo municipale, dedicato in gran parte ai loro eroi locali: esploratori polari che accompagnarono le grandi spedizioni di Amundsen e di altri.  Accanto alla biglietteria c'è una vetrinetta con qualche  oggetto di artigianato, dipinto secondo l'antica arte "Mezenskaja", di cui noi facciamo man bassa, creando grande scompiglio nel piccolo locale. In città c'è una grossa bottega di ferramenta, caccia e pesca, dove Danilo è riuscito a comprare un paio di valenki (stivali di feltro). C'è anche un grande mercato all'aperto con ogni tipo di mercanzia.
Mezen è sull’estuario del fiume omonimo, a una 40ina di km dal Mar Bianco. Qui il letto del fiume è larghissimo, più di 2 km.  Noi lo dobbiamo attraversare per raggiungere la sponda opposta, dove c’è la cittadina di Kamenka.  Questa è la gemella di Mezen, con vocazione industriale, anzi lo era, perché l’enorme impianto per la lavorazione del legname, che dava lavoro a centinaia di operai, è ora ferma e in sfacelo.  In effetti l’aspetto della cittadina è piuttosto depresso, con lunghe case di legno, costruite per i lavoratori, ora desolatamente vuote.


Siamo arrivati al punto più settentrionale del nostro itinerario: 65°53’. Adesso dobbiamo invertire la marcia e dirigere a sud, purtroppo.  Rispetto all’itinerario programmato, abbiamo trovato un’alternativa che ci permette di tenere la riva sinistra del fiume, evitandoci di ripercorrere la stessa strada dell’andata fino a Kimzha. Dapprima la strada è brutta perché in sbancamento, poi però migliora fino a diventare una specie di pista da bob che fa divertire gli autisti.  La neve è soffice e crea un polverone bianco. Davanti alle macchine solo una vecchia traccia semicoperta dalla neve fresca.  Sono stati trenta chilometri incantevoli, forse i più belli dell’intero viaggio.
Poi ecco l’incrocio con la grande strada che ci porterà ad Arkhangelsk: è anch’essa bianca, ma ormai noi ci siamo abituati al meglio e i pochi mezzi che incrociamo quasi ci danno fastidio.  A metà giornata facciamo una deviazione per visitare l’unico villaggio insediato in mezzo a questo grande nulla, che si chiama Sovpole.
A sera troviamo un grande spiazzo comodo per piantare il campo e gli uomini non devono neppure spalare. Questo grazie a una strana giaculatoria portafortuna di Mauro…...

Seguirà la terza parte del diario, che riguarda la regione di Arkhangelsk

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