1 dic 2015

RUSSIA ARTICA - parte prima

DIARIO DI VIAGGIO NELLA RUSSIA ARTICA
la parte russa del viaggio




Premessa
Questa è la terza spedizione del Gruppo Sextant in Russia. Numerose sono le motivazioni di questo viaggio
- arrivare al Mar Bianco
- conoscere le popolazioni del Nord, in particolare i Pomory
- percorrere strade invernali e fiumi ghiacciati, fino alla cittadina di Mezen
- attraversare l'immensa taiga della Regione di Arkhangelsk.
Il viaggio si è svolto nel mese di Marzo 2014. In totale sono stati percorsi 9.000 km (più le tratte marittime sul Baltico), di cui la metà su suolo russo.
Questa la parte russa dell' itinerario:
Hanno partecipato alla spedizione:
Erina e Giovanni Dondi                       su Defender 100 Tdi 300
Mauro Camisasca e Giuseppe Bonfanti  su Defender 110 TD4
Danilo Tapiletti e Giovanni Grassi         su Defender 110 TD4
I veicoli sono stati equipaggiati con pneumatici da neve, speciali chiodi avvitabili e smontabili della Best-Grip, catene sulle 4 ruote, verricelli, binda, pale, picconi, scalette. Particolare cura è stata posta alla coibentazione dei veicoli, delle tende aeree e della tenda-mensa, nelle quali veniva convogliata l'aria calda prodotta da bruciatori installati sui veicoli. L'abbigliamento individuale era quello usato in alta montagna, con intimo termico, giacconi di piumino, scarponi impermeabili e doposci.
Per poter accedere alla meta principale del viaggio, la cittadina di Mezen, è stato necessario chiedere con mesi di anticipo uno speciale permesso, che ci è stato rilasciato dalle Autorità di frontiera Russe.

IL DIARIO - parte prima: dall'Italia al fiume Mezen

Domenica 2 Marzo 2014 – Milano/dopo Francoforte – km 720
All’autogrill Villoresi, in direzione di Como, incontriamo il primo equipaggio, composto da Mauro e Beppo su un mostruoso Defender 110 TD4 bianco super-preparato.  Gli altri due compagni di viaggio si trovano in Svizzera, a Bellinzona.  Sono Gianni e Danilo, quest’ultimo il proprietario di un Defender 110 TD4 nero, anch’esso preparato e organizzato con allestimenti pratici e veloci.  Il nostro Defender è un bel 110 Tdi 300, verde, che risale al 1998 e sta invecchiando insieme a noi.
In Svizzera seguiamo il percorso Gottardo-Basilea per proseguire lungo le autostrade tedesche, noiose ma molto scorrevoli.  Gli amici sono vogliosi di testare la loro formidabile attrezzatura, perciò dopo 700 km, passata Francoforte, usciamo dall’autostrada e cerchiamo un luogo per fare il primo campo serale e con poco sforzo troviamo una bella radura nel bosco.  Oggi aveva fatto anche molto caldo, ma stasera tra le piante i gradi sono solo +4.  Dovremo abituarci a ben peggio.

Lunedì 3 marzo – dopo Francoforte/Travemunde – km 595
I compagni di viaggio sono pimpanti e li sentiamo armeggiare intorno alle macchine sin dalle prime luci dell’alba. Lasciamo la bella radura nel bosco e ci immettiamo in autostrada.  Intenso traffico di mezzi pesanti e molti lavori stradali rendono la strada un po’ meno scorrevole di ieri. I lati dell’autostrada sono costellati di pale eoliche, ormai in numero talmente elevato da deturpare il paesaggio.  Per contro, i paesini che si vedono sono sempre armoniosi e lindi. Arriviamo al punto d’imbarco con molte ore d’anticipo, così decidiamo di visitare Lubecca, una delle principali città della Lega Anseatica, che dominò il commercio europeo nel Quattrocento.  In periferia vediamo minuscole case come quelle danesi, mentre in centro ammiriamo antichi edifici in stile gotico-baltico. Molto meno attraente invece l’impatto con gli abitanti, che abbiamo trovato freddi al limite della maleducazione. Traffico caotico e semafori lentissimi; ad un incrocio veniamo letteralmente sbalzati di fianco da una vettura che tentava una manovra ad U.  Fortunatamente ha impattato contro il nostro pneumatico posteriore, senza arrecarci danni. Andiamo al porto di Travemunde e ci mettiamo pazientemente in attesa del check-in e dell’imbarco.  La nave partirà a notte fonda: alle ore 3.

Martedì 4 marzo – Navigazione nel Mar Baltico
Siamo stati imbarcati per ultimi, all’una e trenta, perché prima di noi la nave ha fagocitato decine e decine di tir e di rimorchi.  C’è uno scambio commerciale su ruota intenso tra la Germania e i paesi Scandinavi, ma probabilmente anche con la Russia. Il traghetto è di recente costruzione, lungo più di 200 metri e alto quasi 50.  Però i servizi ai passeggeri sono limitati (ospita al massimo 550 persone).  Ci sono due piccoli bar e una sola sala ristorante a prezzo fisso. Il servizio è a buffet con ampia scelta, il che si traduce nel riempire i piatti troppe volte.   Come al solito il tempo scorre lento sulla nave. Il più attivo è Mauro, che sfodera e prova la sua bella telecamera Go-Pro.  Da buoni italiani, a cena ci presentiamo al ristorante fuori tempo massimo e troviamo la sala chiusa.  Non resta che ripiegare su modesti panini del bar.
Mercoledì 5 marzo – Helsinki/San Pietroburgo – km 400
Il mare è coperto da un leggero strato di ghiaccio e la nave deve procedere in una specie di corridoio libero dai ghiacci, segnato da boe. Il traghetto attracca ad Helsinki in perfetto orario e noi procediamo subito in direzione est. La temperatura si mantiene per tutto il giorno intorno ai +3 gradi: trooooppo caldo! La bella strada finlandese lungo la costa sud ci porta rapidamente al confine russo. Poche macchine in attesa, per fortuna. Siamo noi che fermiamo la fila perché abbiamo una certa difficoltà a riempire per bene tutte le scartoffie. Gli agenti di frontiera si dimostrano pazienti e abbastanza gentili. Stranamente il controllo della macchina è del tutto superficiale: solo un’occhiata distratta all’interno. Facciamo diesel al primo distributore: il prezzo si conferma la metà di quello italiano. La strada per San Pietroburgo è quasi tutta in buone condizioni. Solo in prossimità della città il traffico si intensifica, soprattutto di mezzi pesanti. C’è un nuovo raccordo autostradale che contorna S.P. e lo imbocchiamo. Solo che non riusciamo a capire quale sia l’uscita adatta a noi e ne prendiamo una che fortunosamente ci porta dritta verso la città, che è estesissima (quasi 5 milioni di abitanti), con palazzoni a perdita d’occhio, abbastanza gradevoli d’architettura, tuttavia. Sbuchiamo a sud della città e non ci resta che attraversare tutto il centro per raggiungere il nostro albergo, il Moskva. Impresa ardua, sia per il traffico intenso, sia per l’indisciplina degli automobilisti. Ci mettiamo un’ora buona ed arriviamo in hotel alle 20 ora russa, giusto in tempo per incontrare Natasha, la corrispondente locale dell’agenzia che ha fatto i visti e gli speciali permessi per il Nord. Mentre io e Giovanni ceniamo al bar dell’hotel, che offre piatti accettabili, i compagni di viaggio escono per una prima esplorazione della bella fauna femminile che popola San Pietroburgo.

Giovedì 6 Marzo – San Pietroburgo
Il fuso orario di questa parte della Russia è “artificiale”, nel senso che non rispetta l’ora secondo i meridiani.  Questo fa sì che al mattino in marzo la luce arrivi solo dopo le 8. Perciò ci svegliamo che è ancora buio e dalla finestra dell’albergo possiamo vedere la fiumana ininterrotta di auto che entrano in città con le luci accese, formando una serie intricata di strisce luminose. Usiamo molte volte la metropolitana durante la giornata, per arrivare ai punti turistici, come il Palazzo d’Inverno e la Chiesa del Salvatore sul Sangue Versato.
E’ la terza volta che visitiamo San Pietroburgo, ma questa monumentale città non ci stanca mai. Oltre agli innumerevoli monumenti, la città offre angoli caratteristici e curiosità come le statue agli animali (vedi post). Questa volta ci siamo prefissi di visitare il rompighiaccio Krassin, che pur trovandosi nel centro città, sta a molti km dalla via principale.
Al Krassin, la cui biglietteria sta quasi per chiudere (con occhiate truci della cassiera e dell’inserviente) troviamo un capitano di marina in pensione che ci fa da cicerone.  Persona amabile, simpatica, che parla abbastanza bene l’inglese.
La visita si prolunga, perché, vedendoci interessati, il capitano ci dettaglia la storia del rompighiaccio e ce ne fa visitare tutti gli ambienti. Ci soffermiamo a lungo a parlare dell’epopea del dirigibile Italia.  Vedi in proposito i post sul Krassin e su Nobile.
Per completare la giornata turistica, andiamo a cena in un ristorante tipico con cucina russa, il “Traktyr”, situato nella via pedonale Malaya Sadovaya.  Abbiamo mangiato bene, ma c’è sempre la difficoltà della lingua russa che ci impedisce di capire il menù, così i piatti li scegliamo puntando il dito a caso.


Venerdì 7 marzo – San Pietroburgo/Cerepoviets – km 560
Lasciamo San Pietroburgo: per noi questo è il vero inizio del viaggio.
Imbocchiamo la M18 che è desolatamente priva di neve.  La strada ha molte parti nuove, altre in rifacimento e altre, per fortuna in misura minore, ancora all’antica, tutta buche e dislivelli. Così è anche la strada 114 che imbocchiamo in direzione di Vologda. Abbiamo osservato che i mezzi da lavoro stradali sono quasi tutti nuovi, di marca svedese o tedesca.  E così anche il parco macchine, con l’aggiunta che nelle grandi città dominano le Range Rover. Marche italiane neanche l’ombra. In questa zona il paesaggio è prevalentemente piatto, con pochi villaggi e un susseguirsi ininterrotto di boschi di betulle e di abeti.  Il tempo è grigio e la temperatura qualche grado sopra zero, così il terreno che sta sgelando diventa un pantano sporco, per niente attraente.  Sembra strano, ma stiamo aspettando con ansia il freddo, o perlomeno la neve. Maciniamo molti km per arrivare alla meta prefissata, che è un località chiamata Suda. Proseguiamo oltre, alla ricerca di un luogo adatto per fare il campo serale e purtroppo ci si para dinnanzi una selva di ciminiere fumanti: siamo capitati sulla città industriale di Cerepoviets. Cerchiamo di allontanarci dai caminoni e troviamo una gradevole radura innevata. Vediamo tracce di pneumatici e le seguiamo, ma portano ad un vecchio cimitero e……preferiamo tornare allo spiazzo. La tenda che gli amici hanno comprato, che serve come mensa serale per il gruppo, è una meraviglia: si monta in cinque minuti, accoglie comodamente tre tavolini e sei persone e, dulcis in fundo, può essere riscaldata dai Webasto di Mauro o di Danilo, i quali hanno predisposto dei tubi che convogliano l’aria calda dai veicoli alla tenda.  Con l’accorgimento aggiuntivo dei “moon-boot” stiamo al calduccio per tutta la durata della cena. Mangiare in compagnia dentro una tenda confortevole mette tutti di buonumore.

Sabato 8 marzo – Cerepoviets/Totma – km 365
Stanotte siamo andati a -5°, ma di giorno il termometro ha segnato mediamente +3°.  Cielo coperto con pochissimo vento.  La strada è ricoperta di fanghiglia che inzozza le macchine in maniera tremenda.
Il percorso si dipana in un paesaggio leggermente ondulato.  Poche foreste si alternano a larghi spazi, probabilmente coltivati in maniera estensiva, ma ora ricoperti da un sottile strato di neve. I villaggi che passiamo sono graziosi, con casette molto colorate.
Arriviamo alla città di Vologda e, com’è prassi in tutte le città russe, la periferia è un ammasso di edifici fatiscenti che si snodano lungo strade costellate di buche e voragini, il che sta a testimoniare della grande capacità di sopportazione del popolo russo.  Noi abbiamo il gps rotto sin dalla partenza e facciamo fare il lavoro di navigazione a Mauro, che lo svolge con la sua ormai ben nota precisione.  Arriviamo così a vedere le due cose che ci interessano di questa città, che di storico conserva solo la piazza centrale e poco altro.  Il primo obiettivo è la casa in cui Stalin, in epoca zarista, fu confinato come dissidente politico.
Il secondo è il monumento che commemora i 100 anni di illuminazione elettrica in città: è un lampione alla cui base lo scultore ha abbozzato un cane che piscia.  Davvero un’opera modesta che noi troviamo divertente.
E’ l’8 marzo, Festa della Donna, ricorrenza molto sentita in Russia, tanto che un signore sconosciuto mi si avvicina e mi regala un bel mazzetto di tulipani gialli. Un gesto molto cavalleresco.  Altri uomini vediamo per la strada che portano mazzi di fiori alle donne.
C’è un mercato nella piazza centrale e ci divertiamo a comprare di tutto un po’: pesci affumicati, salsicce, miele, lardo.
Non manchiamo di comprare anche il famoso burro di Vologda, molto apprezzato in tutta la Russia. Effettivamente il più buono che io abbia mai assaggiato.  Sostando per il pranzo alla periferia della città, presso un’isba di legno in costruzione, incontriamo proprio uno di questi artigiani locali che produce prodotti caseari, il quale ci fa dono di burro e formaggi freschi.  Si riconferma ciò che ormai sappiamo dei russi: sotto l’apparente scorza ruvida e scostante, le persone si rivelano gentili e generose. Percorriamo un tratto della grande strada M8 per poi deviare a destra su una secondaria, che alterna pochi tratti buoni a numerosi km di manto stradale a pezzi. L’andatura rallenta e arriviamo abbastanza tardi al nostro obiettivo giornaliero: Totma.  In cerca del luogo adatto per il campo, prendiamo una stradina secondaria innevata e incarichiamo Mauro di fare da spazzaneve con il suo potente mezzo, in modo da creare uno spiazzo a lato della pista. Alla fine il suo Puma spancia nella neve e gli uomini devono sfoderare strop e verricelli. Sembrano tutti contenti: così sono i fuoristradisti!  Intanto è arrivato un uomo con un trattore che trascina un enorme cerchio di ferro, e quello sì che spazza la neve. Sta aprendo un sentiero dove alla fine ci infiliamo, lavorando di pala per creare lo spazio necessario ai 3 mezzi e alla tenda.  Cena italo-russa: cotechino con polenta e tutte le specialità comprate al mercatino.

Domenica 9 marzo – Totma/Votchina – km 260
Dopo Totma il paesaggio si fa più forestato e mosso.  Verso mezzogiorno arriviamo ad una meta “naturalistica”: la località di Opoki.  Si tratta di un tratto del fiume Suchona che in questo punto ha scavato una lunga parete rocciosa, caratterizzata da strati orizzontali di vari colori: ocra, rosso, sabbia e grigio.
Ad un paio di km di distanza c’è un’altra attrattiva: una fontana perenne, che è il risultato di una trivellazione effettuata dai sovietici negli anni ’40.  Invece di trovare petrolio è zampillata dell’acqua, che da allora non ha smesso di fuoriuscire.  La bellezza di questa fontana è che in inverno lo zampillo ghiaccia parzialmente, formando una fantasiosa stalagmite di ghiaccio.  Ma questa spiacevole primavera anticipata non ci permette di ammirare il fenomeno.
Alla fontana arriviamo su un carretto trainato da una motoslitta, piccolo servizio di transfer offerto da un giovanotto locale.
Dopo pranzo percorriamo un’ottantina di km per raggiungere l’altra meta turistica della giornata: “Votchina”, nei pressi della città di Velikiy Ustyug. E’ la dimora di Babbo Gelo.
A differenza del Babbo Natale di Rovaniemi, classica trappola per turisti, questo parco è pensato a misura di bambino.  All’ingresso alcuni addetti vestiti con abiti da fiaba conducono i bambini a varie stazioni che rappresentano favole russe.
Ai bambini vengono posti degli indovinelli sulla fiaba in questione: quando rispondono correttamente, passano alla stazione successiva.  Noi non siamo stati in grado di rispondere, ovviamente, ma ci siamo imbucati dietro ai bambini russi che risolvevano gli indovinelli….  Arriviamo alla casa di Babbo Gelo, dove ci accoglie un ragazzo che rappresenta un elfo, accompagnato da una ragazza emozionata, perché è l’unica che parla inglese e perciò deve fare da interprete.  La casa è una costruzione ingenua, con varie stanze che rappresentano lo studio, la biblioteca, la camera da letto ed altri ambienti.
Alla fine della visita veniamo ammessi al cospetto di Babbo Gelo in persona: è un omone dalla voce baritonale, con un’enorme barba bianca.  Un po’ di convenevoli, una fotografia e alla fine Babbo Gelo si congeda con una stretta di mano che ci stritola le ossa.
A sera riprendiamo la strada e dopo qualche km troviamo lo spiazzo adatto per il campo serale. Subito veniamo raggiunti da alcuni fuoristradisti locali con una Uaz preparata per le gare. Ci invitano a provare dei percorsi con loro, ci offrono ospitalità per la notte, ma noi decliniamo ambo le offerte: non è il caso di giocare al “trial” a 5.000 km da casa. Quando i russi si congedano da noi e riavviano l’enorme mezzo del quale erano evidentemente fieri, ci accorgiamo che qualcosa si è rotto e penzola sotto il telaio. Sarebbe una brutta figura, ma i russi non si scompongono e aggiustano il tutto in men che non si dica.
Lunedì 10 marzo – Votchina/Noviknovo – km 205
Stamani visitiamo il centro di Velikiy Ustyug, ammirando le innumerevoli chiese, alcune già restaurate, altre ancora da sistemare, ma anch’esse dalla bella architettura.
Vediamo anche molte case di legno ben tenute, con ricche decorazioni. In questa città c’è l’Ufficio Postale di Babbo Gelo, dove lavorano alacremente alcuni impiegati, dato che qui si ricevono ogni anno più di 200.000 letterine di bambini russi e degli altri paesi dell’ex Unione Sovietica.
Facciamo una spesina in uno dei tanti “magasin”, che sono aperti anche se è domenica. In questo c’è ancora l’abitudine sovietica: prima si va alla cassa ad ordinare, poi al banco per ritirare la merce.  Inutile dire che siamo in grande difficoltà, perciò i commessi ci vengono in aiuto.  Però a differenza della triste epoca comunista, adesso i negozi sono rifornitissimi di ogni merce. Particolarmente ricco è sempre il banco del pesce, generalmente affumicato o in leggera salamoia.
Danilo e Gianni, la cui macchina funge da cucina principale, hanno finito la scorta d’acqua, ma riempire il serbatoio si rivela una faccenda complicata: i benzinai non hanno acqua (gelerebbe) fontanelle non ce ne sono (gelerebbero). I passanti ci indicano una pompa stradale…sarà potabile chi lo sa?
Decidiamo che d’ora in poi riempiremo i serbatoi con l’acqua delle botteghe, che la vendono a poco prezzo in fustini da 5 litri. Sosta pranzo un po’ movimentata perché ci siamo fermati nei pressi di una piccola stazione ferroviaria, dalla quale è uscita una “babushka” inviperita che ci ha intimato di allontanarci, pretendendo anche di vedere i nostri documenti. Retaggio sovietico. Comunque abbiamo fatto pranzo un po’ più in là. Riprendiamo il viaggio su strade ricoperte da poltiglia di fango e neve.
Superata la brutta città industriale di Kotlas, raggiungiamo Koriazhma, che è l’unico punto sul grande fiume Vichegda dotato di un pontone, passabile quindi anche quando il fiume è scarsamente ghiacciato, come in questo caso. E’ una lunga passerella di legno con un piccolo pedaggio da pagare.
Adesso la strada presenta alcuni tratti di neve compatta, alla buonora!  Cerchiamo un posto per fare il campo e imbocchiamo una bella pista che serpeggia per km e km in un bosco di abeti, purtroppo senza radure.  Alla fine dobbiamo accontentarci di uno slargo della carreggiata. Comunque l’ambiente è suggestivo: dormiremo nel cuore di una fitta foresta.

Martedì 11 marzo – Noviknovo/62°29'4"N 48°29'6"E – km 215
Un’altra mattina “tiepida”, a qualche grado sopra lo zero. Riprendiamo la strada principale che ha un fondo molto scivoloso e l’andatura è lenta, in un susseguirsi di foreste di betulle e di abeti. Costeggiamo ancora il Vichegda e questa volta lo vediamo bianco di ghiaccio.  Qualche villaggetto abbandonato ai lati della strada, le cui case di legno sfasciandosi assumono forme bizzarre.  Facciamo sosta a mezzogiorno ad un paesino chiamato Irta, divertendoci come al solito a comprare qualcosa nei “magazin” locali.  Sono sempre gestiti da donne, che preferiscono ancora fare i conti sul pallottoliere, benché abbiano sul banco la calcolatrice.
Acquistiamo un salmone, che si rivelerà ottimo, qualche scatoletta di pesce e di uova di storione.  Abbiamo deciso di prendere un traversone che dovrebbe accorciare la nostra risalita verso Usogorsk.  Lo imbocchiamo nei pressi di Yarensk, dove facciamo gasolio dopo aver aspettato che l’autobotte scaricasse il carburante alle pompe.  Il piazzale del benzinaio è un disastro di acqua e neve.  Nessuno qui in Russia pensa a spalare: quando c’è neve ci camminano sopra, quando c’è il disgelo aspettano semplicemente che tutto si sciolga da solo. I primi km della strada che abbiamo scelto sono una delusione, poiché la carreggiata è larghissima e sporca come la strada principale.  Solo dopo la località di Ocheia finalmente la strada diventa perfettamente bianca.  Ci abbiamo messo quasi una settimana per trovare le condizioni che in una stagione normale avremmo incontrato subito dopo San Pietroburgo.  Facciamo campo ad un bivio stradale, creandoci uno spiazzo con le macchine e con le pale.
Comincia a cadere qualche fiocco di neve che ci fa sperare in condizioni meteo più consone alla latitudine in cui ci troviamo.

Mercoledì 12 Marzo - >62°29'4"N 48°29'6"E/dopo Voshkiy – km 250
Un velo di nevischio ha ricoperto l’ambiente e le nostre Land.
Stanotte siamo stati a una decina di gradi sotto lo zero, ma gli amici non hanno sofferto nelle loro Columbus, munite come sono di prolunga webasto. E men che meno Giovanni ed io, che dormiamo nel Defender coibentato. Partiamo pimpanti lungo la bella strada bianca che offre anche qualche panoramico saliscendi.
Al primo incrocio dovremmo andare ad Est, secondo le carte, ma la pista è completamente innevata. E’ agibile invece verso Nord e non possiamo far altro che seguirla. Dopo un po’ di km incrociamo dei camionisti boscaioli che si fermano per informarci che quella strada non porta da nessuna parte: serve solo a loro per il disboscamento. Bisogna fare dietro-front.
Questo è tipico della viabilità russa invernale: inutile programmare sulle carte un percorso su piste secondarie, tanto i locali aprono solo quelle che interessano loro. Torniamo all’incrocio e gli uomini decidono di affrontare la strada innevata. Mauro fa da apripista e riesce ad avanzare, lasciando tracce profonde.
Deve procedere però solo in prima ridotta, altrimenti con una velocità maggiore la neve si accumula davanti alle ruote. Abbiamo così la conferma che le nostre Land sarebbero in grado di avanzare anche in queste condizioni, ma non è il caso di oggi, perché la strada intonsa è lunga una settantina di km, e a 3 km/h……. sarebbe un po’ lunghina.  Inoltre non conosciamo le incognite del percorso.  Dunque non rimane che ripercorrere a ritroso la bella strada bianca fino a Yarensk, dove riprendiamo il tracciato principale, molto faticoso per le innumerevoli buche.  Entriamo nella Repubblica di Komi, in prossimità di una vasta pianura ondulata.
Qui i paesini sono molto più ravvicinati e c’è pure qualche fabbrica, soprattutto di legname; pertanto c’è un discreto traffico stradale. I villaggi di recente insediamento hanno case colorate, che rallegrano un po' il panorama poco invitante.
Dopo Aykino pieghiamo decisamente a nord in direzione di Koslan.  Però il percorso è completamente diverso da quello tracciato sulle carte, perché punta ad un nuovo complesso industriale in località Vozhkiy. Dopo la fabbrica la strada non serve più e infatti diventa un sentiero che serpeggia in una fitta foresta.  Difficile trovare un posto per fare campo.  Fortunosamente all’imbrunire incrociamo un gigantesco mezzo di lavoro, il cui autista si offre di aprirci uno spiazzo con la sua enorme pala. Non vuole essere ricompensato, così ci limitiamo a lasciargli un souvenir rappresentato da un pacchetto di pasta e un sugo.
Seguirà la seconda parte del diario, che riguarda il percorso lungo il fiume Mezen.

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